martedì 14 gennaio 2014

Non mangiamo più pane (e facciamo bene!)

Furio Stella

In cinque anni consumi dimezzati. D’accordo la crisi e gli stili di vita dettati dalla globalizzazione, ma la colpa è anche della qualità. Nelle foto dei cristalli (sotto) lo si capisce bene.

Vi ricordate le foto dei cristalli d’acqua di Masaru Emoto? Non sono proprio la stessa cosa, però un po’ ci assomigliano. Stiamo parlando delle immagini dei cristalli di grano, quelle di cui abbiamo già parlato nell’articolo di ottobre sugli “antichi cereali”.

Oggi ve le facciamo anche vedere, e sapete perché? Per colpa della notizia, data in più salse, che gli italiani non mangiano più pane. Lo dice la Coldiretti, secondo cui di pagnotte, rosette e mantovanine ne mangiamo quanto ne mangiavano i nostri bisnonni nel 1861, cioè l’anno dell’unità d’Italia!

Certo, all’epoca mangiavano solo quello, mentre adesso ci si abboffa anche di carne, pasta, formaggi, dolciumi, eccetera, però è comunque un dato su cui riflettere se ci si aggiunge, come ha scritto in prima pagina il “Messaggero”, che negli ultimi cinque anni il consumo in Italia di pane si è esattamente dimezzato. O, come sostiene la Confederazione italiana agricoltori (CIA), che dal 1983 ad oggi il consumo è sceso da 280 a 120 grammi al giorno. O ancora, come ha scritto più in dettaglio il “Piccolo” di Trieste, che nel capoluogo giuliano negli ultimi sette anni il numero dei panifici si è più che dimezzato, passando da 125 a 50 ...
L’immagine del cristallo di un frumento antico: forme geometriche complesse

Perché gli italiani non mangiano più pane? Per colpa della crisi, dicono. Ma ci crediamo poco. Forse, più che altro, è perché non abbiamo più tempo di passare dal panettiere la mattina, ecco; o perché chi ha tempo il pane ha cominciato a farselo da sé; o perchè i giovani, così dice sempre la CIA, non lo mangiano per niente. Ma soprattutto perché, diciamolo, quanto a qualità il pane onestamente sta cominciando a fare un po’ schifetto.

Cristalli di Gentilrosso: è un’altra varietà di grano antico
Un esempio di varietà moderna: il grano Nobel

Precotto, surgelato, ricotto. Magari con grano coltivato e lavorato fuori dai nostri patri confini. A costi sempre più ridotti. Con farine industriali ad altissimo “W”, il fattore di resistenza, capaci sì di reggere alle pesanti lavorazioni ma che, per il nostro povero sistema digestivo, sono l’equivalente di un caucciù. Sorvolando, s’intende, sul pane a lunga conservazione, che spesso si traduce in un concentrato di additivi chimici.
Un altro cristallo di varietà antica: differenze evidenti con il precedente

No, gli italiani non sono cretini. Se hanno girato le spalle al banco-pane dei supermarket, se nelle loro preghiere l’invito a “darci oggi il nostro pane quotidiano” si fa più flebile, se il profumo del forno una ragione ci sarà. E lo dimostrano appunto, anche da un punto di vista scientifico di facile condivisione, le famose immagini dei cristalli di frumento, dove si può cogliere in sintesi la maggiore o minore “organizzazione della materia”, e dunque per esempio le differenze (non visibili a occhio nudo, ma sostanziali) fra un cereale antico e uno moderno. Anche un bambino, fra le varie figure, non avrebbe difficoltà a indicare nelle forme più complesse, chiare e geometriche, il grano con qualità migliori. Un adulto, non si sa.

Le immagini dei cristalli sono tratte da uno studio sugli antichi cereali effettuato da Maria Olga Kokornaczyk, dal professor Giovanni Dinelli e altri quattro ricercatori italiani, e pubblicato sul “The Scientific World Journal”.

www.stampalibera.com

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