venerdì 4 ottobre 2013

Gli esperti: “Un nesso chiaro tra vaccini e tumori”


downloadDavid aveva appena iniziato il servizio di leva nell’Esercito nell’85esimo Reggimento Verona a Montorio Veronese, quando il 19 giugno 2006 fu sottoposto a una serie di vaccinazioni. Stava bene, il giorno precedente aveva vinto una maratona locale, ma dopo l’ultima iniezione cadde a terra senza conoscenza. Oggi convive con un’invalidità del novanta per cento dovuta a una gravissima neuropatia da avvelenamento da metalli pesanti dovuta a un importante deficit del sistema immunitario. David fu addirittura accusato e poi assolto del reato di diserzione. La sua famiglia ha iniziato una battaglia difficilissima per vedere riconosciuto il danno subito dal figlio a causa dei vaccini che gli sono stati iniettati durante il servizio militare, esibendo analisi di laboratorio e schede vaccinali piene di irregolarità. Niente però è servito. “Davanti a noi un muro insormontabile” racconta la madre Silvana “quando mi dissero che il caso di mio figlio non era classificabile fra quelli del Protocollo Mandelli, per chi aveva prestato servizio all’estero, né da nessun’altra parte, ho capito che avremmo urlato nel buio”. In questo buio però i genitori di David hanno incontrato più gente di quanta pensassero, familiari di ragazzi, spesso deceduti, che avevano storie analoghe, malattie violentissime comparse da un giorno all’altro. 

Sarebbero quasi 4000, secondo l’associazione di assistenza ai familiari dei caduti delle Forze Armate, i casi di contaminazione per uranio impoverito e altri agenti patogeni. Il dato di 3721 casi, fornito dalla Difesa, è peraltro molto inferiore alla realtà perché si riferisce solo a casi di militari in servizio, mentre esclude tutto il personale militare in congedo che ha lasciato il servizio ed i civili che lavorano nelle Forze Armate.

Il 10 ottobre scorso nell’aula del Senato dedicata ai caduti di Nassiriya, l’onorevole Rosario Giorgio Costa, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, richiama duramente il Segretario generale della difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Claudio Debertolis presente per un’audizione: “Le Forze Armate dovrebbero dotarsi di un ufficio che si occupi di questi casi, finora siamo stati il vostro ufficio relazioni con il pubblico, ma tra poco questa commissione chiuderà i battenti e ci chiediamo cosa sarà di queste persone”. Debertolis risponde: “Mi assumo personalmente l’impegno a istituire un ufficio di questo tipo, che, è vero, non esiste”.

Difficile trovare una risposta scientifica valida per tutti. Spinti anche dalle critiche di chi ci ha accusato (dopo la prima inchiesta) di aver sentito solo i “fanatici dell’antivaccino” siamo andati a parlarne, dall’altra parte dell’Oceano, a Philadelphia, col professor Antonio Giordano, presidente dello Sbarro Institute sul cui livello scientifico e sulla cui imparzialità, nessuno ha dubbi: “C’è un nesso riconosciuto – dice il presidente dello Sbarro Institute – tra vaccini ravvicinati e abbassamento delle difese immunitarie. E in Italia c’è pieno di posti ad alto tasso d’inquinamento altamente pericolosi per chi ha un sistema immunitario compromesso”. A una domanda precisa (“Se venisse da lei un militare italiano che gli chiedesse un consiglio sul fatto di doversi sottoporre a una decina di vaccinazioni in un mese, cosa gli risponderebbe?”), Giordano ci ha detto. “Gli spiegherei che tanto vale suicidarsi”. E lo stesso Giordano lancia la sua proposta: l’equipe di ricerca dello Sbarro Institute of Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia si mette a disposizione per fare, gratuitamente, studi scientifici in merito, per contribuire a far emergere la verità. Una proposta che, comunicata ai vertici della Sanità militare ha incontrato disponibilità e favore.

La Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, dunque, ora sta indagando sui danni da vaccini finora taciuti nonostante gli allarmi lanciati negli ultimi anni da numerosi medici e scienziati e dalle famiglie di centinaia di vittime. “Hanno cercato di mettere tutto a tacere perché gli interessi economici in ballo sono troppo grandi visto che facilmente dai militari si può passare ai civili”, sostiene Massimo Montinari, medico e funzionario di polizia, “ma ora, a quanto pare, anche a livello politico qualcosa si sta muovendo”.

Anche a livello dei risarcimenti, almeno a giudicare dall’andamento della questione. Alla fine del 2011, le domande di “riconoscimento come vittime del dovere” presentate da militari o da loro parenti, erano 350. Tutte chiedevano il risarcimento per i danni patiti dall’essere venuti a contatto con sostanze nocive durante il servizio. Di queste, 110 sono state approvate e il “riconoscimento” ha portato a risarcimenti intorno ai 200 mila euro. Le altre 240 erano state respinte. Adesso, anche alla luce, dei nuovi sviluppi relativi all’ipotesi vaccino, le domande sono state riesaminate a campione. Un consulente della Commissione ne ha esaminate dieci e ha sentenziato che almeno sei avrebbero potuto avere risultato positivo. Da qui la decisione di riesaminarle tutte e 240.

Alla decisione della Commissione ha contribuito anche il risultato del Progetto Signum, uno studio sull’impatto genotossico nelle unità militari, commissionato nel 2004 dalla Difesa a ricercatori civili e militari facenti capo a prestigiose università (Pisa, Roma, Genova). Dimostra che sottoporre una persona a più di cinque vaccini significa comprometterne il sistema immunitario. Nella relazione finale di Signum, consegnata il 17 gennaio 2011, si legge che lo stesso soggetto ipervaccinato, esposto ad agenti aggressivi come diossina, uranio impoverito, forte inquinamento ambientale, potrà facilmente sviluppare malattie gravi. Non solo, finora sono stati ignorati anche molti studi internazionali che sostengono la stessa evidenza e di cui ci parlano scienziati importanti che lavorano anche per altre nazioni come Giordano, Giulio Tarro medaglia d’oro del Presidente della Repubblica, infettivologo di fama mondiale, o Franco Nobile del Centro di eccellenza nazionale per la lotta ai tumori di Siena, che ha effettuato studi proprio sui militari. Tutti medici indipendenti, che non hanno mai accettato sostegno né fondi da case farmaceutiche.

Certo, perché a questo punto bisogna sottolineare che l’Italia non ha una legge sul “conflitto di interessi di medici e scienziati” che vieti, ad esempio a quelli che ricevono contributi da case farmaceutiche, di dare il via libera per un farmaco, suggerire un vaccino o fare una consulenza al Ministero della Salute. Qualche regolamento c’è, ma leggendolo con attenzione, vediamo che in realtà per non incorrere in sanzioni basta dichiarare il proprio conflitto di interessi e sostenere che si farà prima l’interesse del pubblico che del privato. Solo dallo scorso aprile, l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) ha aggiornato la normativa istituendo delle forme di controllo e classificando i diversi gradi possibili di conflitto d’interessi.

Ma torniamo alla questione dei presunti danni da vaccino nei militari. Le denunce più gravi sono due. La prima riguarda il mancato rispetto dei protocolli vaccinali da parte di alcuni medici militari. I motivi sarebbero molti, vanno dalla semplice ignoranza, alla fretta di vaccinare molte persone per renderle attive in servizio. Qui l’imputato sarebbe il Ministero della Difesa.

La seconda punta al contenuto dei vaccini, visto che studi scientifici dimostrano che molte patologie autoimmuni e tumorali sono legate all’accumulo di metalli pesanti come mercurio e alluminio. Gli stessi metalli che sono stati riscontrati in quantità enormi in ragazzi come David, sono stati anche trovati in numerosi vaccini. Vengono utilizzati come eccipienti, conservanti e per migliorarne l’effetto sui pazienti. Qui l’imputato sarebbe invece il Ministero della Salute assieme alle case farmaceutiche. Fernanda Ferrazin dall’Aifa ammette: “I vaccini dei militari non sono esattamente uguali a quelli dei civili. Nei multidose c’è più mercurio, ma si tratta di tracce sostenibili”. Sulla stessa quantità, il professor Tarro dissente e parla di “dosi da cavallo”. Il Tenente Generale Federico Marmo, Capo Ufficio Generale Sanità Militare, sobbalza, venendo ora ad apprendere delle maggiori dosi di mercurio, consulta gli ufficiali medici che lo circondano e che mormorano allarmati: “non ce l’hanno mai detto”. Tuttavia, sostengono che per i soldati, da circa un paio di anni, non siano più utilizzati i multidose.

Il silenzio finora imposto su tema è comprensibile alla luce dell’evidente mancanza di collaborazione di molti di questi attori. Interpellata daRepubblica, Novartis sostiene di non poter rilasciare dichiarazioni. Rivolgiamo le stesse domande a Farmindustria: “Vi risulta che i vaccini venduti alle Forze Armate non siano utilizzati correttamente? Le storie di danni da vaccini denunciate da molti militari vanno a ledere in qualche modo anche l’immagine delle case farmaceutiche? Avete modo chi chiedere chiarimenti su quanto sta avvenendo?” Rispondono per iscritto, in modo generico, parlando dell’importanza dei vaccini, e concludono: “Le aziende non sono nelle condizioni di offrire risposte in merito ai tempi e ai modi effettivi di somministrazione dei vaccini”. Una volta venduti, dunque, non sembrano più essere un affare che le riguarda. Su cosa stia accadendo, però, si interrogano anche le forze armate. Il generale Marmo sostiene: “Abbiamo diversi studi in corso. Non è vero che siamo insensibili al tema delle morti dei nostri uomini e donne, con ciascuno di loro condividiamo lo strazio. Sulla base dei dati che abbiamo, il problema non sussiste, i militari si ammalano meno degli altri. Tuttavia, non stiamo negando: parliamo sulla base dei dati disponibili che, ammettiamo, sono parziali”. Qualcosa è successo anche dopo l’uscita dell’inchiesta di Repubblica. it: “da un mese - continua Marmo – abbiamo attivato ulteriori studi e analisi di verifica, ma ricordate che i risarcimenti non dipendono da noi”.

E’ infatti il Ministero dell’Economia e delle Finanze l’altro grande protagonista di questa brutta storia, perché è al suo interno la commissione che vaglia se concedere o meno il risarcimento ai ragazzi e alle famiglie che denunciano (perizie mediche alla mano) di aver contratto importanti malattie a causa dei vaccini e che nulla hanno ottenuto. “Hanno paura che si scateni una reazione a valanga, che siano troppi – sostiene Andrea Rinaldelli, padre di Francesco, scomparso nel 2008 – e di doverli poi risarcire tutti. Ma in realtà questi ragazzi anche da malati costano molto allo Stato”.

Gli elementi per fare chiarezza, dunque, sono quasi tutti sul tavolo. Change. org ha promosso una petizione e ha già raccolto quasi diecimila firme firme. E si attende l’esito di un’interrogazione parlamentare promossa il 25 ottobre dall’onorevole Amalia Schirru verso i Ministeri di Salute e Difesa

Ma nel frattempo le condizioni di Erasmo Savino, il militare di cui denunciavamo la storia nella precedente inchiesta, continuano a peggiorare. Secondo un’analisi dell’infettivologo Giulio Tarro (che pubblichiamo dietro autorizzazione): “Si può affermare che ha ricevuto una concentrazione di vaccini in tempi brevi, le cui componenti metalliche hanno interagito con i trigliceridi ed hanno formato dei complessi che hanno fatto da pacemaker alla proliferazione della malattia…. Le vaccinazioni, quando non condotte secondo i protocolli della Sanità militare, spesso sono causa o concausa delle patologie di cui risultano affetti gli stessi militari e che in casi molto frequenti hanno portato al decesso”. Nonostante ciò, per Savino non c’è nessun risarcimento: la burocrazia sul suo caso è bloccata. Il tempo passa, il tumore corre. Rimane il silenzio dei grandi palazzi.

Fonte: inchieste.repubblica.it

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