giovedì 10 ottobre 2013

L’Italia che non sa leggere e far di conto


Sala di lettura dell’università La Sapienza di Roma, nell’ottobre 2011. (Riccardo Venturi, Contrasto)

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha diffuso i risultatidel nuovo rapporto Piaac sulle competenze degli adulti tra i 16 e i 65 anni di età in 24 paesi: le rilevazioni sono state fatte tra il 2011 e il 2012, per l’Italia è stato incaricatol’Isfol, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori.

Per la valutazione sono state considerate le competenze alfabetiche (literacy) e matematiche (numeracy) ed è stata adottata una scala di cinque livelli, con un punteggio da 0 a 500. Dal terzo livello in poi si indica che una persona possiede le competenze per interagire in modo efficace nei contesti di vita e di lavoro.

Nelle competenze alfabetiche il nostro paese è all’ultimo posto: il punteggio medio degli adulti italiani è 250 punti, mentre la media Ocse è 273; nelle competenze matematiche il punteggio medio degli adulti italiani è 247, contro la media Ocse di 269 punti. Solo la Spagna, con 246 punti, ha fatto peggio. Siamo al penultimo posto anche per capacità di risolvere problemi in ambienti ricchi di tecnologia.





Il 70 per cento della popolazione italiana ha competenze ritenute al di sotto del minimo indispensabile per vivere e lavorare nel ventunesimo secolo. Solo una parte arriva al secondo livello sia nelle competenze alfabetiche (42 per cento) sia in quelle di calcolo (39 per cento), mentre quasi tre italiani su dieci sono al primo livello o anche meno nei due ambiti di competenza. Queste persone, nel migliore dei casi, sono in grado di leggere solo testi relativamente brevi per cogliere un’informazione che contengono, comprendere un vocabolario di base, determinare il significato di una frase e leggere in modo abbastanza fluente testi più lunghi. Sempre nei migliori dei casi, possono risolvere operazioni aritmetiche di base, capire percentuali semplici e identificare elementi in semplici grafici o tabelle.

Scrive Tito Boeri su Repubblica:


A differenza di indagini precedenti (come Pisa o Ials), il Piaac si rivolge a tutta la popolazione tra i 16 e i 65 anni e non solo a chi lavora. Questo permette anche di misurare lo spreco di capitale umano. Da noi è macroscopico: con un tasso di disoccupazione giovanile al quaranta per cento, i punteggi dei giovani sono sistematicamente più alti di quelli del resto della popolazione e spesso in modo consistente, cosa peraltro non vera in tutti i paesi (ad esempio non è così in Norvegia, Danimarca, Regno Unito, Giappone e Stati Uniti). [...] I disoccupati e le persone inattive, a differenza che in altri paesi, non sono meno competenti di chi lavora. Le donne disoccupate hanno addirittura punteggi migliori sia nelle competenze matematiche che in quelle linguistiche non solo dei disoccupati di sesso maschile, ma anche di chi ha un lavoro e ha più di 55 anni. Questo ci dà una speranza: riformando il nostro mercato del lavoro e riducendo la pressione fiscale che grava su chi produce possiamo rendere produttivo questo capitale umano inutilizzato di cui disponiamo.



“Su testi di comunicazione quotidiana si verifica la totale incapacità di decifrare singole parole o cifre (alfabetizzazione strumentale elementare) per l’1 per cento di adulti nativi o immigrati tra i 16 e i 65 anni (in Italia per il 5 per cento dei nativi). Il 7 per cento non capisce o non sa scrivere una breve frase (in Italia il 33) e percentuali maggiori hanno difficoltà anche nella comprensione di testi orali (l’accertamento di ciò è una novità importante). Le discussioni sul da farsi saranno al centro della campagna elettorale italiana?”, si chiedeva a gennaio Tullio De Mauro.

fonte: Internazionale

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