Fonte: ExtremaMente
Testo di Sabrina Pieragostini
A tre anni dalla sua morte, avvenuta nell’ottobre del 2010, negli Stati Uniti è stato pubblicato il libro postumo di Zecharia Sitchin, il sumerologo che con le sue controverse traduzioni ha delineato una storia dell’umanità molto diversa da quella comunemente accettata. Il titolo della sua ultima opera è “The King Who Refused to Die” ovvero “Il re che non voleva morire”. Pur contenendo tutti i punti centrali della teoria legata alla presenza sulla terra degli Alieni chiamati Anunnaki, non si tratta di un saggio, ma di un romanzo.
La novella, composta in segreto quando il famoso ricercatore era ormai molto avanti negli anni, si incentra sulla figura di Gilgamesh, il semidio protagonista dell’omonima Epopea composta in epoca sumera, ma a noi nota grazie alle versioni successive trascritte da Assiri e Babilonesi. È lui, figlio della dea Nin.sun e discendente, da parte di padre, del dio Shamash, il re che fece di tutto per evitare la morte- alla quale era comunque condannato, per quel quarto di sangue umano che gli scorreva nelle vene.
Nel romanzo, la vicenda parte dalla Londra dei nostri giorni. Ma il lettore è ben presto trasportato a ritroso nel tempo, fino alla Uruk di 5 mila anni fa per seguire Gilgamesh nel suo viaggio alla ricerca dell‘immortalità. Tra antiche profezie e battaglie all’ultimo sangue, amori e tradimenti, oracoli e misteri, l’eroe antico rivive la sua avventura alla luce dell’interpretazione di Sitchin: gli Dei altri non sono che gli antichi abitanti di Nibiru e il Pianeta del Passaggio è la vera meta da raggiungere.
Nessuno sapeva che lo scrittore naturalizzato americano stesse lavorando alla stesura di questo libro, nemmeno i suoi più stretti collaboratori. Gli eredi ne hanno trovato le bozze tra le carte, i documenti dattiloscritti e gli appunti di una vita intera, distribuiti in ordine sparso nella sua abitazione di New York. Avevo avuto l’onore di entrare in quell’appartamento vicino a Central Park pochi mesi prima della sua morte. Era il maggio del 2010 e dopo un fitto scambio epistolare a colpi di fax (email e social network non facevano per lui…), Zecharia Sitchin mi aveva concesso un’intervista.
I centrini stesi su braccioli dei divani anni ’70, una vecchia macchina per scrivere sul tavolo, per terra e sul comò pile di cartellette stracolme di fogli, decine di copie di libri tradotti in svariate lingue (cinese incluso), statuette e riproduzioni di antichi sigilli sumeri: tutta la casa parlava di lui e della sua passione per la cultura mesopotamica che a suo dire nascondeva la vera storia dell’origine umana.
La sua teoria è ben nota ed è stata, nel corso degli anni, oggetto di furibonde denigrazioni e di idolatriche esaltazioni: Sitchin non lascia indifferenti, o lo si odia o lo si ama. I sumerologi gli hanno sempre contestato la facilità con la quale adattava la traduzione dei termini sumeri ed accadici alla sua causa, forzando i significati per avvalorare la sua idea: su quelle tavolette non erano incise leggende cosmologiche o miti degli dei, ma resoconti di fatti reali realmente accaduti, seppur raccontati con gli strumenti logici e linguistici di quei tempi antichi.
Le posizioni sono diametralmente opposte. A partire da Nibiru: un pianeta a sè, impegnato in una lunga orbita ellittica che lo portava ad attraversare il sistema solare ogni 3600 anni- secondo Sitchin- oppure solo l’appellativo di Giove o forse di Marte, secondo le interpretazioni ufficiali. Il termine stesso Anunnaki (in accadico, in sumero la parola corrispondente era Anunna) è motivo di diatriba: significa “Coloro che dal cielo scesero sulla Terra” oppure “Quelli del sangue reale, la discendenza principesca”? E via di questo passo.
Diversa la spiegazione dell’Enuma Elish (che narra la formazione del cosmo), diversa la spiegazione dell’Atra-hasis (che invece racconta come nacque l’uomo): mettendo a confronto le traduzioni di un sumerologo ufficiale e quelle di Sitchin emerge chiaramente quanto le prospettive siano inconciliabili. Nel primo caso, leggeremo un poema epico, nel quale gli Dei si scontrano in battaglie celesti per determinare i loro equilibri di potere o soffiano lo spirito vitale in un grumo d’argilla per dare la vita al primo essere umano. Nel secondo caso, leggeremo invece un trattato scientifico ante litteram. Per Sitchin, infatti, pur utilizzando i nomi simbolici di divinità e le immagini metaforiche di battaglie nel cielo, l’Enuma Elish rappresenta in realtà il caos cosmico di 4 miliardi e mezzo di anni fa nel quale gli scontri tra i protopianeti diedero origine al nostro attuale sistema solare. Analogamente, l’Atra-hasis e gli altri frammenti relativi alla nascita dell’uomo, ricorrendo ad un linguaggio figurato, illustrano l’intervento di manipolazione genetica da parte di Creature altamente tecnologiche per accelerare ed indirizzare l’evoluzione del primo ominide verso l’Homo Sapiens.
Chi ha ragione? L’ampia schiera di eruditi che interpretano i testi cuneiformi come bei miti scritti in linguaggio aulico? Oppure l’isolato scrittore americano che li interpreta come rappresentazioni di fatti reali, in grado di cambiare per sempre la nostra Storia? Le due opposte fazioni- pro e contro Sitchin - rimangono imperterrite sulle loro posizioni.
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