sabato 5 ottobre 2013

Riflessioni Teosofiche: Fenomeni di Helena Petrovna Blavatsky

di Patrizia Moschin Calvi - indice articoli

Fenomeni di H.P. Blavatsky Ottobre 2013
Di Henry Steel Olcott

Si tratta del racconto di uno degli infiniti episodi di vita vissuta riportati da coloro che ebbero la fortuna di incontrare, nella loro vita, H.P. Blavatsky, e che ci hanno tramandato qualcosa - quel poco che traspariva all'esterno - del lavoro di questa grande esoterista.
L'autore, colonnello Henry Steel Olcott, è stato co-fondatore con H.P. Blavatsky della Società teosofica e suo primo Presidente.

Patrizia Moschin Calvi

Fenomeni di Helena Petrovna Blavatsky
Henry Steel Olcott

Dato che è poco noto che Helena Petrovna Blavatsky operasse talvolta dei fenomeni paranormali, crediamo opportuno riportare alcuni casi caratteristici, descritti da testimoni di ineccepibile serietà.


Il giorno 29 marzo del 1897 H.P. Blavatsky disse all’attendente Moulji Sackerji di recarsi a prendere una vettura per un breve tragitto, vettura sulla quale salì essa stessa assieme all’attendente.
Ella non rispose alla domanda di Moulji circa il luogo dove voleva recarsi; doveva accontentarsi di dare ordini al cocchiere di girare a destra o a sinistra, oppure di continuare diritto nella corsa, secondo le indicazioni che ella gli dava durante il percorso.
Al ritorno Moulji mi raccontò ciò che avvenne. La vettura, seguendo le indicazioni, di H.P. Blavatsky, percorse molte strade della città e della campagna fino a quando arrivarono in un sobborgo di Bombay, a circa dodici o sedici chilometri dalla città, ad un boschetto di pini.
Moulji conosceva benissimo questo luogo perché vi aveva fatto cremare il corpo di sua madre.
Le strade ed i sentieri si incrociavano nel boschetto in tutte le direzioni ma H.P. Blavatsky indicava senza la minima esitazione la strada da percorrere, strada che portò finalmente sulla riva del mare. Con grande stupore di Moulji si arrestò davanti al cancello di una proprietà particolarmente curata, un bungalow munito di grandi verande davanti alle quali si estendeva un giardino pieno di magnifiche rose.
H.P. Blavatsky, scesa dalla vettura, disse a Moulji di attendere sul posto e di non cercare di entrare nella casa, pena la vita. Egli attese non sapendo che cosa pensare; aveva passato tutta la vita a Bombay ma non aveva mai sentito parlare dell’esistenza di una simile dimora in quel luogo.
Dalla vettura chiamò uno dei numerosi giardinieri che curavano le rose, ma costui non volle neppure rispondere, né dire il nome del suo padrone, né da quanto tempo abitava in quel bungalow e neppure quando esso era stato costruito. Questo silenzio del servitore indù non era meno strano di tutto il resto.
H.P. Blavatsky andò direttamente verso la casa, alla porta della quale la accolse cordialmente un indiano di alta statura, vestito di bianco e di aspetto molto distinto. Poi entrambi entrarono nella casa.
Dopo un po’ di tempo ne uscirono ed il misterioso straniero la salutò e le diede un gran mazzo di rose portate da un giardiniere. H.P. Blavatsky salì in vettura ed ordinò di ritornare a casa.
Tutto ciò che Moulji riuscì a sapere da Madame Blavatsky fu che lo straniero era un occultista con il quale era in contatto e che aveva avuto la necessità di vederlo quel giorno. Ella disse inoltre che le aveva dato il mazzo di rose per consegnarlo al Colonnello Olcott.
Ciò che vi è di strano in questa storia è il fatto che H.P. Blavatsky non era mai uscita una sola volta dopo il nostro arrivo a Bombay e quindi non poteva avere alcuna conoscenza del sobborgo e della strada da percorrere per arrivarci. Vi si era tuttavia recata con una perfetta conoscenza del luogo.
Moulji fu tanto colpito dal questo fatto, che lo raccontò a tutti i suoi amici e conoscenti. Qualcuno che conosceva perfettamente il sobborgo scommise cento rupie che non esisteva nessun bungalow e nella località indicata sulla riva del mare.
Moulji ne parlò anche con H.P. Blavatsky ed ella si offrì di scommettere con lui che avrebbe perduto la scommessa con gli amici. Ma lui le disse di essere sicuro di poter percorrere la medesima strada e per questa ragione accettò la sfida.
Feci chiamare una vettura sulla quale salimmo tutti e tre. Mediante un interprete indiano dissi al cocchiere di seguire esattamente le indicazioni di Moulji. E così partimmo. Dopo una lunga corsa raggiungemmo il boschetto dove avrebbe dovuto esserci il bungalow.
Il suolo era formato da sabbia marina e cosparso di aghi di pino; vi erano numerose stradine e lungo una di queste Moulji si diresse con sicurezza, malgrado i motti di spirito di H.P. Blavatsky, la quale gli diceva che poteva già considerare perdute le sue cento rupie.
Dopo aver cercato per un’ora, proprio quando Moulji si dichiarò sicuro del fatto di avviarsi direttamente verso il bungalow sulla sponda del mare, proprio allora passò fragorosamente un treno proprio sul luogo dove egli riteneva si trovasse il mare. Si accorse allora che si era recato esattamente nella direzione opposta.
Moulji si dichiarò vinto e noi riprendemmo la strada verso casa. Madame Blavatsky ci disse poi che Moulji avrebbe ritrovato il misterioso bungalow se non l’avesse ingannato la vista con le sue percezioni illusorie.
Questo bungalow, come tutti i luoghi dagli Adepti, è protetto contro l’intrusione degli estranei da un cerchio illusorio formato con cura dagli elementali ed era sotto la custodia di un tale agente, sul quale si poteva contare. Esso veniva usato come luogo di riposo e di incontro dei Guru e dei Chela, durante i loro viaggi.

Henry Steel Olcott
(Da “Le Lotus Bleu”, 1895).

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